Insegnare, nuotare

LA SCRITTURA È IL NUOTO CHE IL DOCENTE  (la poesia è il miele che il poeta)

La scrittura è il «nuoto» che il docente esercita almeno mensilmente. Che si pensi professore, che si immagini maestro, che aspiri a diventar dottore, che sia già con cattedra e ordinario; ciò che conta piuttosto è che egli insegni. Lo scrivere è sorgente da cui attinge autorità. Dopo aver nuotato; nuotando, tuttavia. È infatti quella l’esperienza che precede la funzione, che non può che averla preceduta, affinché si rivelasse, lasciandosi segnare, la forza di insegnare. Come l’artista al suo apprendista, è l’insegnante. Il momento dello scrivere è momento destinato alla conversazione con la propria condizione; per non dire consacrato alla prova, all’ordalia dell’anima e del corpo per divenire piano piano chi tu sei. I suoi segni rivelano a noi stessi il mondo con cui noi lo disegnamo, lo ricreiamo lasciandoci creare. La scrittura è il momento che ricrea, non quello dell’ora di lezione. L’ora di lezione son le note, il commento a ciò che è il cuore, l’esperienza, il commento all’argomento di cui dire e da spiegare; e dove l’uomo accade intero, finalmente. La vivanda del Convivio, ed il pane con cui sondarne il gusto. Si può fare ricreazione anche all’ora di lezione: scrivendo. Se vuoi insegnare a scrivere, scrivi; a leggere, scrivi: così rileggi. Mai dica che si legga a chi chiede di imparare. A chi voglia tuffarsi, tu diresti: guarda le piscine, contempla tanti mari? Che scriva, piuttosto, di quel che legge. Che nuoti, se vuol nuotare; che pedali, se. Non legga i manuali, se non in mezzo all’officina. Allora sì, nel bel mezzo del cantiere, si legga metafisica, poetica e teoretica, per misurare là sull’orizzonte a che altezza si innalzi la bandiera, il senso da dare all’edificio, il peso della storia: littera gesta docet, ma quo tendas, anagogia. E sia anche il viceversa. La nobiltà del nostro bel volgare, la forza che quello ha di illustrare, si misura sul profumo, sull’olezzo di pantera che si caccia. Nulla a che vedere con le tecniche del pedagogista, il cartesiano che disdegna la materia, lo spiritualista delle metodologie, il padrone di docenza, il pre-testuoso, il dis-interessato. Poco a che spartire anche con il missionario, che cela nello slancio del suo cuore la spietata competenza, la competizione, per la sopravvivenza del più atto, del più certificato: lui, il Moderno, o l’altro, l’Antico sacerdote: alla conquista della ‘formazione’ dei più morali e dei valenti cittadini. La scuola degli orfani, la mamma scuola. Matrigna. Tristezze d’Ottocento. Ma lo Stato volle che la scuola emancipasse, aveva i sud e i meridioni, i sessi deboli, gli Eboli che fermavano i cristi, la civiltà, il progresso. E le magnificenze grigie della burocrazia accademica? Oh, gli abstract dei convegni, il grado sottozero di scrittura,  la scienza d’altura. E la collega che in terza è già arrivata al Foscolo? Oh, Cultura; oh oh! E Presidi e Rettori con la mission? Oh, Bravura; oh, oh, oh. Con l’Anvur e l’Invalsi, chi teme Bocciatura? Ma che cominci un poco di umile piacere, di dolcezza. La miglior lezione civica, il laico catechismo. Il modello del canone è la scienza dell’artista. Se l’insegnante ascolta il suo maestro che lo insegna, impara come l’uomo segni il fiat, e va dentro quel «gran mar»e, addensa e poi dipana la materia, con cui l’essere si svela. Lo diceva Darwin, tornato dal suo viaggio intorno al globo, agli utilitaristi del suo tempo vittoriano, che viaggiare in paesi assai lontani «rende più acuto e mitiga in parte quel bisogno e quel desiderio, che […] sente un uomo, quantunque ogni bisogno del suo corpo sia pienamente soddisfatto». Come il buon medico consiglia, se vuoi esercitarti sanamente fa che sia piacevole, che navighi in vasti mari, che si faccia nuoto in fiumi e laghi, quando manca il mare; van bene anche le vasche di piscina. Ma su quali desideri, altrimenti, misurerai i tuoi ottimi bisogni? Così sia, che l’insegnante nuoti dentro i segni, che scriva nei suoi stili: di rana o di farfalla, di dorso o stile libero, e via, nelle immersioni d’acqua. La scrittura sia per ricordare non di come fare, ma come fassi ad essere insegnanti. A volte, addirittura, è dolce in questo mare anche il naufragare, perché la sua bellezza non è tutta una cosa, ma un filo invisibile segnato tra le cose, che cerca di vestirsi con i segni. È dolce il nuovo stile, per cui «letizia … trascende ogne dolzore». Relazione con il mondo: è corrispondenza. C’è, quando avverti la dolcezza. Non puoi più farne senza, e che si dica. Lo scrivere ha sapore di dolcezza, anche quando ciò  che appare è una schifezza. Il ricevuto, lo doni riscrivendo. Il conoscere si compie, il comprendere ti afferra. E lo componi. La scrittura l’ha deciso. È conoscere amoroso: esatto sia nel dirlo, amando a chi vuoi dirla.